lunedì, aprile 11, 2005

Le esperienze della vita

La vita deve essere vissuta, dunque, fino in fondo sia che questi ci porti a soffrire sia che questa ci porti alla gioia. È proprio per questa ragione che ho deciso di raccontarvi una delle più grandi esperienze che una persona può fare: assistere, passivamente o attivamente, alla nascita di un altro essere umano. È proprio quello che è accaduto a me ossia quando ho assistito la mia compagna durante la nascita di mio figlio.

La rottura delle acque avvenne qualche ora dopo la morte di papa Giovanni Paolo II. Più precisamente il papa morì alle 21.37 del 2 aprile 2005 e le acque si ruppero alle 3.25 del 3 aprile 2005 quasi 20 giorni prima della reale scadenza. Cercando di rimanere calmi, cercammo di finire la preparazione di una borsa che avremmo dovuto finire di preparare proprio durante quella domenica. I dolori erano completamente assenti e questo ci permise di sonnecchiare in ospedale fino alle nove, momento in cui l’ostetrica decise di metterla sotto monitoraggio che mostrò i primi segni dell’imminenza del parto. Le ore successive le abbiamo vissute subendo una fortissima accelerazione come se qualcuno avesse deciso di contrarre il tempo a nostra insaputa. Infatti le contrazioni incominciarono ad aumentare progressivamente sia in frequenza che in intensità tanto che, ad ognuna di esse, era necessario trovare nuove posizioni e nuovi metodi di respirazione per stemperare il dolore. Tutto sommato questa accelerazione fu un bene perché non ci permise di fermarci a pensare su quello che stava accadendo. Verso le 10.45 le contrazioni diventarono fortissime e sempre più frequenti e quindi decisi di andare a chiamare l’ostetrica che poco prima aveva monitorato la mia compagna e che era anche sicura che fino alla sera non sarebbe successo nulla. Sarà per il mio aspetto o per la mia prima esperienza ma mi dissero che sarebbero venute a dare un’occhiata anche se poi non vennero. Dopo aver aspettato più di venti minuti, tempo durante il quale le contrazioni divennero insostenibili, decisi di attaccarmi al campanello fino a che non fece capolino l’ostetrica che trovò la mia compagna gridare per la forza delle contrazioni. Assunta, seduta stante, la tipica posizione ginecologica, l’ostetrica decise di dare un’occhiata alla situazione. Come uomo penso che la mia esperienza passiva del parto sia iniziata in quel momento quando potei vedere la dilatazione raggiunta e le grida di dolore della mia compagna. Nonostante fossi completamente lucido non riuscivo a smettere di piangere; non so esattamente il motivo ( o forse lo conosco anche fin troppo bene) ma non riuscivo a controllare questa mia esplosione emotiva. Mi resi conto, allora, che era inutile oppormi a quelle emozioni e decisi quindi di godermi ogni momento di quei momenti irripetibili e accettarle qualsiasi fossero le opinioni che i dottori e le infermiere intorno a noi avessero.
Avendo la dilatazione superato ogni limite, non ci fu il tempo di riempire la vasca per il parto in acqua tanto desiderato dalla mia compagna, la quale, però, non aveva nessuna voglia di farlo sul classico lettino della sala parto. Per questa ragione le infermiere e l’ostetrica allestirono, in fretta e furia, il necessario per un parto da seduta che consistette in una specie di vasino sezionato, un grosso telo assorbente e uno sgabello posizionato dietro il vasino. La mia compagna si sedette sopra il vasino ed io mi posizionai sullo sgabello immediatamente dietro di lei in modo da sostenerla sia fisicamente che moralmente. Le sue grida mi impedivano di bloccare il mio pianto e tanto meno le mie fortissime emozioni. Ci vollero ben 5 spinte per far venire fuori la testa e altre tre per far venir fuori le spalle. Ma non era ancora finita: la posizione del bambino non era quella corretta e l’ostetrica dovette preoccuparsi di ruotare il bambino, metà dentro e metà fuori, di 180º prima dell’uscita del bacino. Questa operazione fece urlare, ormai la neo mamma, come mai l’avevo sentita urlare prima di allora. Ma ormai era finita perché si trattava di dare l’ultima spinta e il bambino uscì. Quando lo sdraiarono per terra incominciò da solo a piangere; chi sa perché si viene al mondo piangendo e si muore con un sorriso (ovviamente è una domanda retorica). Mancava solo l’ultima cosa da fare per dichiarare ufficialmente l’entrata in questo mondo: il taglio del cordone ombelicale. Mi fu concessa questa possibilità e lo feci al volo e con molto piacere anche se con qualche timore di fare qualche errore. Il resto fu prassi: due punti interni per la neo mamma, i controlli di routine del pediatra al bambino, il bagnetto, le misurazione, la vestizione ed infine la fotografia. Erano solo procedure di rito per le infermiere ma incredibilmente emozionanti per me; l’adrenalina mi stava letteralmente uscendo dagli occhi dato che ormai era ufficiale: ero diventato papà di un bellissimo bambino.

Dopo questa esperienza consiglierò caldamente a me stesso e agli altri (e quindi anche a mio figlio), di vivere fino in fondo tutte le esperienze che la vita vorrà porgli davanti sia che queste siano belle, sia che queste siano brutte.